A comeAbu Mazen. Nato nel 1935 a Safed, allora parte del territorio mandatario britannico della Palestina, Mahmoud Ridha Abbas (il suo nome di battesimo) è il successore di Yasser Arafat alla guida di Al Fatah e dell’Autorità Nazionale Palestinese. È stato eletto presidente dell’Anp nel gennaio 2005, con oltre il 60%. Ma il voto fu boicottato dagli islamisti di Hamas. Ex militante della prima ora dell‘Organizzazione per la Liberazione della Palestina, Abu Mazen è considerato dagli israeliani e dagli americani l’unico interlocutore pragmatico (e legittimo) della galassia palestinese. Il problema, dopo il colpo di Stato a Gaza del giugno 2007, è che ci sono due «Palestine»: una moderata in Cisgiordania guidata dallo stesso Abu Mazen e una islamista a Gaza contro cui è stata scatenato, il 27 dicembre 2008, l’Operazione «Piombo Fuso». Che speranze può avere una trattativa in cui l’unico interlocutore credibile governa solo a Ramallah e, per di più, gode di un tasso di popolarità assai basso presso la sua gente?
B come Barak, Ehud. L’attuale ministro della Difesa israeliana è il militare più decorato della storia politica del Paese. Leader del partito laburista israeliano, tra le cui fila hanno militati uomini politici del calibro di Golda Meyr, Yitzhak Rabin e Shimon Peres, Barak è stato il primo ministro israeliano dal 1999 al 2001. Fu durante il suo mandato che Arafat fece l’errore, a Camp David, di rifiutare la più generosa proposta mai avanzata da Israele: la consegna del 93% dei Territori, congelando la questione di Gerusalemme a un futuro negoziato. Il tragico esito del no palestinese fu lo scoppio, nel settembre 2000, della seconda Intifada. Quella dove al posto delle pietre fecero la loro comparsa gli shahid, gli uomini-bomba imbottiti di tritolo che si facevano esplodere nei bar e sui bus delle città ebraiche.
C come coloni. Qualsiasi fosse la loro ispirazione politica, tutti i governi israeliani che si sono succeduti dalla vittoriosa guerra dei sei giorni del 1967 hanno proseguito la colonizzazione della West Bank creando un puzzle in cui insediamenti, basi militari e check point s’incastrano l’uno nell’altro rendendo impossibile la vita quotidiana dei cittadini palestinesi. È nel 2005 che l’allora premier Ariel Sharon, ex grande sponsor delle politiche di colonizzazione, decide di sgomberare Gaza. Un atto di «generosità» (mitigato dalla chiusura dei valichi dopo la vittoria di Hamas del gennaio 2006) cui gli islamisti che governano la Striscia hanno risposto intensificando il lancio dei missili Qassam verso le città di Asquelon e Sderot. Ottendendo in cambio quella che il portavoce dell’Unrwa ha definito la più «sanguinosa offensiva di guerra» dal 1967.
D come Damasco. Sin dal 1948 Damasco è nemico giurato di Israele e ha sempre partecipato alle guerre arabo-israeliane. Dopo la guerra dei sei giorni (6 giugno 1967) però la Siria ha perso le alture del Golan e da allora i rapporti tra Israele e Siria sono sempre stati tesi. I colloqui siro-israeliani per la restituzione del Golan, in corso da un anno grazie alla mediazione del primo ministro turco Tayyip Erdogan, sono stati interrotti il 27 dicembre dopo l’attacco di Israele su Gaza. Damasco, considerato il grande finanziatore degli Hezbollah libanesi, ospita anche Khaled Meshal, leader in esilio di Hamas. Bisogna ricordare inoltre il fatto che il Paese è ancora sotto osservazione per l’attentato del 14 febbraio 2005 a Beirut, che costò la vita all’ex premier libanese Rafiq Hariri.
E come Egitto. Dall’Egitto passano le armi dirette a Gaza, territorio egiziano fino al 1967, attraverso i tunnel del contrabbando. Ma il Cairo del presidente Mubarak è anche l’unico grande Paese confinante ad aver firmato la pace con Israele e ad avere un buon rapporto con l’Occidente. Promotore, negli ultimi giorni, di una grande iniziativa diplomatica con Sarkozy per arrivare a un cessate il fuoco, Mubarak ha un problema interno molto serio: Hamas è una succursale ideologica dei Fratelli musulmani egiziani, la principale organizzazione di opposizione egiziana. E se la guerra dovesse proseguire, per il regime di Mubarak, si aprirebbero tempi difficili, con il rischio di rivolte di piazza
F come Fatah. Al Fatah è il principale partito dell’Olp, l’organizzazione fondata a metà degli anni 60 da Yasser Arafat tra le cui fila milita anche Abu Mazen. Nata su posizioni nazionaliste e violentemente anti-israeliane Al Fatah ha riconosciuto, con gli accordi di Oslo, il diritto di esistenza di Israele. Un’evoluzione che potrebbe conoscere anche Hamas qualora dovesse allentarsi l’embargo contro Gaza? I diplomatici e gli israeliani ne dubitano. E la pioggia di Qassam di Hamas sulle città di confine sembra dar loro ragione.
G come Gerusalemme. È la capitale dello Stato ebraico dal 1967, ma non è ancora stata riconosciuta dalle Nazioni Unite le cui risoluzioni contro l’«occupazione» israeliana sono sempre rimaste lettera morta a causa anche del diritto di veto, in seno al Consiglio di Sicurezza, degli Stati Uniti. Gerusalemme è però anche la capitale simbolica degli arabo-palestinesi e la culla delle tre religioni monoteiste: cristianesimo compreso. Il suo status giuridico internazionale è perciò sempre oggetto di guerre e diatribe.
H come Hamas. Fondata dallo sceicco Ahmed Yassin Hamas (in arabo ardore) è nata alla fine degli anni 80 come un’organizzazione caritatevole che si occupava, non della guerra, ma degli orfani e dei problemi materiali di migliaia di palestinesi. È per questo che lo Shin Beth (il servizio segreto ebraico) ne ha favorito inizialmente la nascita in chiave anti-Olp nei Territori. Fu un tragico errore. Hamas è oggi, dopo la vittoria elettorale del gennaio 2006 e il putch di Gaza del giugno 2007, il più radicale nemico dello Stato ebraico. Il suo braccio militare sono le Brigate Ezzedim Al Qassam. E il suo sogno, sancito nella Carta costituzionale del partito, è la scomparsa d’Israele e la rinascita di una grande Palestina islamica.
K come Kadima. Cosa resta del partito fondato da Ariel Sharon che tre anni fa vinse le elezioni e divise il Likud? Il suo fondatore è in coma, il successore, Olmert è dimissionario per una storiaccia di tangenti, l’ultimo leader è l’energica ministro degli esteri, Tzipi Livni, che ha bisogno di imporsi nel suo stesso partito e di allontanare lo spettro di una vittoria di Benjamin Netanyahu, il leader del Likud (destra) che i sondaggi continuano a dare vincente quando manca un mese alle elezioni del 10 febbraio.
I come Intifada. Parola araba che significa “rivolta delle pietre”. La prima Intifada, iniziata nel 1987, si concluse con la firma, nel 1993, a Washington, degli accordi di Oslo del 1993 tra Rabin e Arafat. La seconda Intifada dei kamikaze, molto più sanguinaria, sancì invece il definitivo fallimento del processo avviato a Oslo e scoppiò nel settembre 2000 dopo la passeggiata di Sharon alla spianata delle moschee a Gerusalemme, considerato luogo sacro dai palestinesi della capitale israeliana.
L come Livni. 50 anni, ex agente del Mossad, figlia di due eroi di Irgun, l’organizzazione terroristica ebraica degli anni 40, l’attuale ministro degli Esteri ha un obiettivo: diventare la seconda donna, dopo Golda Meyr, a guidare lo Stato ebraico. Per ora ha conquistato la guida di Kadima ma non del governo. E deve far dimenticare ai suoi elettori i fallimenti del suo compagno di partito Ehud Olmert. La guerra, secondo gli ultimi sondaggi, potrebbe aiutarla.
M come Muro di Difesa. Voluto da Sharon per rendere difficile il passaggio dei kamikaze palestinesi, il Muro (costo previsto: un milione di dollari al chilometro) è tuttora in costruzione. I lavori sono cominciati nel giugno del 2002 intorno al distretto della città di Zububa, estremo nord della Cisgiordania, e nel luglio 2003 è stato completato il settore nord del tracciato, lungo 145 km: 132 km costituiti da un recinto elettronico mentre i restanti 13 km sono in cemento armato. Il muro è alto 8 metri e lungo il tracciato sono state costruite strade di aggiramento per soli coloni e 41 varchi agricoli. “Barriera difensiva” per gli israeliani, “muro dell’apartheid” per il palestinesi. Una volta terminato, sarà lungo circa 600 km contro i 350 km della Green Line.
N come Netanyahu. Storico leader del Likud ed ex primo ministro dal 1996 al 1999. A meno che la guerra non faccia risalire i voti per il Labour di Ehud Barak e Kadima di Tzipi Livni, il capo dell’opposizione ha la vittoria in tasca nelle elezioni generali del 10 febbraio. Per lui, ex ambasciatore negli Usa, l’Iran, grande finanziatore di Hamas, è «la Germania nazista» dei giorni nostri. E anche con i palestinesi le sue posizioni non lasciano posto alle speranze di dialogo. Ma la presidenza Obama potrebbe cambiare il quadro politico israeliano e indurre anche un falco come lui a rilanciare i colloqui di pace.
O come Olmert. Il successore di Sharon guida il governo israeliano. Travolto dagli scandali e dalla disastrosa gestione della guerra contro gli Hezbollah dell’estate 2006, guida un esecutivo di larghe intese tra Kadima (centro) e il Labour (sinistra) che si regge, alla Knesset, su una maggioranza risicata. Il futuro politico di Olmert, tra i pochi politici israeliani a non avere alle spalle un significativo curriculum militare, sembra ora incerto.
P come Piombo Fuso. L’Operazione scatenata da Israele il 27 gennaio 2008 che, secondo fonti mediche palestinesi, avrebbe provocato finora oltre 900 morti, tra cui oltre 220 bambini. La guerra ha due obiettivi: la fine del lancio dei missili Qassam contro le città israeliane di confine e la fine del contrabbando di armi lungo i cunicoli tra Gaza ed Egitto.
Q come Qassam. I razzi rudimentali che Hamas riversa sulle città israeliane (Asqelon e Sderot) oltre il confine con Gaza. Un pericolo costante, per la vita quotidiana degli israeliani, anche se raramente causano vittime: dal 2001 ad oggi, 15 persone sono morte a causa dei lanci. Devono il loro nome al guerrigliero palestinese Mojahed Izz Al Qassam, attivo negli anni 30. Hanno una gittata di circa 10 km, inferiore a quella dei Katyusha di Hezbollah.
R come Road Map. La mappa che avrebbe dovuto portare, seguendo tappe ben definite, alla pace in Terrasanta. Proposta dal “quartetto” (Usa, Ue, Russia e Onu) nel 2002. Prevedeva il ritiro degli israeliani dall’occupazione delle colonie e uno stato palestinese pacificato, democratico e sicuro. Piano abbandonato di fatto dal 2004 (nonostante le flebili speranze di Annapolis) per le continue violazioni delle tregue da parte di Hamas.
S come Sderot. La città israeliana più esposta al lancio dei razzi Qassam da Gaza, dal cui confine dista solo 1 km. Dal giugno 2007, quando Hamas ha preso il potere nella Striscia, Sderot è sotto assedio. Le sirene che avvertono i civili in prossimità delle zone di impatto dei razzi hanno salvato molti cittadini, ma la popolazione è scesa del 10%.
T come Tsahal. Acronimo per Tsva Haganah Le-Israel, ovvero armata di difesa di Israele. Uno degli eserciti meglio armati e più potenti del mondo. Il mito della sua invincibilità è stato un po’ incrinato dagli errori dell’ultima campagna in Libano nel 2006. Il servizio militare in Israele dura 3 anni per i maschi e 22 mesi per le femmine. Attualmente il capo delle forze armate è il generale Gabi Ashkenazi.
U come ultraortodossi. Se la sicurezza nazionale è una priorità politica per tutti gli israeliani, per gli ultraortodossi ha anche una venatura biblico-religiosa. I gruppi ebrei radicali sono una minoranza tra gli israeliani, ma è una minoranza molto rumorosa e attiva anche politicamente: i partiti di riferimento sono lo Shas (sefarditi), l’Unione Nazionale e il partito Religioso, Ebraismo Unito della Torah (ashkenaziti).
V come vittime. Israeliane e palestinesi. Troppe, comunque.
Z come zone contese. I Territori al centro dello scontro israelo-palestinese sono essenzialmente la Striscia di Gaza e la Cisgiordania, occupati nel corso della Guerra dei sei giorni, nel 1967. Il ritiro da Gaza è avvenuto nel 2005. Altri territori contesi sono l’altopiano del Golan, con la Siria, e alcuni insediamenti nel sud del Libano.
(panorama)
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