venerdì 27 febbraio 2009

IL GROVIGLIO DELLE PARTECIPAZIONI INCROCIATE IN ITALIA

CONSIGLI DI AMMINISTRAZIONE DOMINATI DAGLI SCAMBISTI PROFESSIONALI E UN GROVIGLIO INESTRICABILE DI PARTECIPAZIONI INCROCIATE SONO IL SEGNALE DI UN PAESE CHE HA SCELTO DI GIOCARE SEMPRE IN DIFESA. DELLA POVERTÀ.

(Luca Conforti è lo pseudonimo di un giornalista che lavora per uno dei più importanti quotidiani nazionali. La sua rubrica, Parco Buoi, si occuperà con cadenza settimanale di imprese, finanza e mercati, con un occhio al risparmiatore).

L’Antitrust ha pubblicato una corposa ricerca in cui certifica come una cinquantina di persone presidia tutti i posti chiave delle banche e delle assicurazioni nazionali. Gli stessi manager siedono dei consigli di amministrazione di società in teoria concorrenti in più mantengono partecipazioni incrociate le une nelle altre. L’ovvia conclusione dell’Autorità è che tutto questo distorce le decisioni delle aziende in modo da “non farsi troppo male“. La mancata concorrenza si traduce in mancata riduzione dei prezzi e accordi di cartello, per lo meno taciti. La scopertadell’Antitrust non è rivoluzionaria, il meccanismo delle partecipazioni incrociate è una caratteristica tipica del capitalismo italiano, inventata da Enrico Cuccia e implementata tuttora da Mediobanca. Gli effetti a danno dei clienti allora non erano nemmeno considerati, tutto serviva a far raggiungere al sistema industriale e finanziario una massa critica sufficiente a sostenersi. Oltre a difendere lo status quo, il modello aveva anche una funzione d’interesse generale: la sopravvivenza e crescita delle grandi aziende significava aumento della ricchezza del paese. Non è più così per vari motivi, ma la pratica non si è estinta, anzi si è replicata praticamente in tutte le province italiane, dove le banche locali e quelle di livello nazionale hanno ricreato ognuno la loro galassia.

ASSICURAZIONE COSTOSA - È agghiacciante piuttosto la risposta che è arrivata dagli “accusati” alle conclusioni dell’Antitrust: “Come si fa a criticare questo sistema proprio quando ha dimostrato di essere il più resistente alla crisi finanziaria?” ha chiesto apertamente l’Ania, l’associazione che riunisce le compagnie di assicurazioni. Stesso ragionamento mormorato da più di un banchiere. Se avessimo abbracciato in pieno ilmodello anglosassone ora dovremmo fare i conti con i fallimenti di più di un gruppo bancario, blocco totale del credito e panico generalizzato. Chiaro che al momento preoccuparsi degli effetti sui prezzi delle commissioni bancarie o sui premi dell’assicurazione auto non è una priorità, ma non è quella la distorsione più grave. Le partecipazioni incrociate, il capitalismo relazionale riducono il rischio e per questo sono profondamente anti-capitalistiche: annullano il premio all’innovazione. Non esistono più vantaggi ad avere idee imprenditorialmente rivoluzionarie, i nuovi entranti fanno fatica ad ottenere i capitali di rischio necessari. Anche chi all’interno del sistema volesse tentare di guadagnare posizioni a discapito degli altri, dovrebbe prima pensare agli effetti negativi che gli deriverebbero dalrompere l’equilibrio, senza contare la sicurezza di una risposta concertata da parte di tutti i concorrenti. Fuori dai giudizi etici e ideologici sulla bontà di un sistema più “di mercato” ed uno più “sicuro“, la questione dovrebbe essere posta in termini dirischio/rendimento: la protezione dai momenti più intensi di “distruzione” del ciclo economico viene pagata con un’eccessiva incapacità di sfruttare quelli di “creazione”?La risposta, purtroppo sembra essere positiva: la bassa crescita del Pil, quella della produttività, l’assenza di sostituzione dei settori tradizionali con quelli a più alto valore aggiunto delle nostre imprese ci dicono che la protezione è troppo costosa. Visto che la performance economica si misura in termini dinamici, la pura difesa del patrimonio l’ottenimento e di rendimenti troppo bassi, significa impoverirsi. E, lo dicono i dati, l’Italia e gli italiani si stanno impoverendo.

COLPA DELLE FONDAZIONI - Già porre la questione in questi termini sarebbe un passo avanti: ma una scelta consapevole tra modelli paternalistici ed uno più in linea con gli altri paesi non è possibile. Nel senso che concorrenza e consociativismo non possono convivere e tendono a espellersi l’un l’altro. Da noi la preponderanza delle banche sul resto dell’economia fa sì che il modello consociativo sia inespugnabile. Trova la propria roccaforte nelle Fondazioni bancarie su cui l’indagine dell’Antitrust fa delle considerazioni importanti. Per chiarire l’importanza delle Fondazioni l’indagine ricorda che sono azioniste di banche che rappresentano il 57% di tutto l’attivo del settore finanziario e il valore delle loro partecipazioni azionarie supera i 23 miliardi. Dovrebbero essere il sostituto degli investitori istituzionali come i fondi pensione, peccato che le Fondazioni per legge sono “enti senza fini di lucro” e quindi ragionano con criteri molto diversi da quelli dell’investitore “razionale“. Lo dimostra anche il fatto che gran parte di loro non utilizza meccanismi di benchmarking con l’esterno per vedere se gli investimenti sono redditizi o meno, mentre le politiche di gestione sono vaghe o del tutto assenti. Il vero motivo è che nessuna Fondazione può o vuole smobilizzare la propria partecipazione nella banca di riferimento (su questo aspetto la legge invece è completamente disattesa, visto che da dieci anni si aspetta la loro progressiva uscita). Ecco che l’unica funzione di questi enti e quella di produrre consenso e posti in CdA per i propri referenti (per lo più politici o notabili delle province di residenza degli enti stessi) e distribuire i dividendi sul territorio. Diventano ulteriore muro, il più alto, contro “atteggiamenti rivoluzionari” da parte di operatori economici non allineati. Per le banche partecipate invece sono un riparo dal giudizio del mercato, questi “soci” di lungo periodo hanno blindato le poltrone degli AD in difficoltà (come Unicredit) e ne riceveranno in cambio altre poltrone. E l’avvenire della foresta pietrificata è assicurato.

(giornalettismo)


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