giovedì 26 marzo 2009

Scoppiato il bubbone lucano: politici e imprenditori invischiati


... invischiati in un giro di corruzione che parte dallo spartimento di poltrone. Ecco come...E così anche la Lucania saudita ha ora i suoi sceicchi, almeno stando a quanto riportato nell’ordinanza con cui l’ormai celebre pm  Henry John Woodcock ha chiesto misure restrittive per una serie di politici e imprenditori lucani, accusati di aver creato una rete clientelare del malaffare per arricchirsi alle spalle della gente lucrando sull’oro nero scoperto nelle terre regionali.


Fra quelli che sono ritenuti i maggiori responsabili vi è un parlamentare del PD in quota Margherita,  Salvatore Margiotta, subito autosospesosi da ogni incarico al fine di poter vedere - come sempre si dichiara in questi casi - “riconosciuta” la sua “innocenza“. Secondo le ultime indiscrezioni,  ci sarebbe sotto la lente degli investigatori il Presidente della Regione, Vito De Filippo, anche se in posizioni “marginali




PAESE CHE VAI… - “Il problema del mondo politico lucano e non solo, è la voglia di controllare qualsiasi cosa, qualsiasi poltrona, qualsiasi posto devono deciderlo loro”. Questo il commento di un politico lucano interrogato su questa storia, un leit motiv che in effetti non suona nuovo a Margiotta, già ampiamente inquisito  proprio da Woodcock  sia in occasione sia del celebre Savoia-gate che per l’affaire Mastella: lo scenario è sempre quello, un gioco a perdere - per i cittadini soprattutto - in cui i politici spartiscono poltrone e affari soprattutto per garantirsi un discreto ritorno elettorale. “In effetti credo che più che la voglia di arricchirsi, dietro ci sia il problema dei voti” è l’amaro commento, che dimostra come la degenerazione del sistema politico locale e nazionale derivi essenzialmente dalla difesa del proprio “fortino“, in questo caso elettorale. Lo dimostra anche l’arresto del sindaco di Gorgoglione (Mt) Ignazio Tornetta, il cui agire, secondo quanto appreso, sarebbe dettato più che da logica personalistica, da “qualcuno che gli ha detto di fare così” anche perché il tipo in questione non sarebbe proprio una “cima“. Lo scenario è quindi quello di un affare programmato sostanzialmente dall’imprenditore  Francesco Ferrara, che ha coinvolto più o meno inconsapevolemente numerosi politici lucani, chi per interesse economico chi per tenersi buoni i propri referenti, fino ad arrivare alla deriva finale. Una sorta di spinta al malaffare che intrecciandosi con gli interessi dei privati, ha portato a intercettazioni come quella relativa proprio a questo caso, in cui l’AD della Total - inquisito anche lui - è beccato a tenere la seguente conversazione:



“Dice Levha: «La busta D (relativa alla gara d’appalto, ndr), dì che la cambino». 
Francini: Ma chiaramente. 
Levha: ok? 
Francini: Chiaramente. 
Levha: E bisogna che si faccia. 
Francini: Chiaramente. (omissis
Levha: Quindi bisogna in effetti che tu abbia accesso alla chiave e alla cassaforte, me ne occupo. 
Francini: Ti occupi tu di tutto questo. 
Levha: Sì, sì, allora, ti dirò come, non so. 
Più avanti, nella conversazione, interviene anche Pasi, al quale si rivolge Levha. 
Levha: Quando si arriva (ci si fa) a far vincere Ferrara, è vinta. 
Questa frase, secondo l’accusa, indica «inequivocabilmente» l’accordo illecito che era stato definito tra i dirigenti della Total e l’imprenditore Ferrara per l’aggiudicazione dell’appalto per il Centro oli di Tempa Rossa all’associazione temporanea di imprese guidata dallo stesso Ferrara.



CORSI E RICORSI STORICI - Ma non basta: i rapporti fra la Total e la Regione vanno avanti da molto tempo e non solo per la questione petrolifera. E malgrado le solite “fonti vicine” al presidente di Regione lo vogliano “calmo e tranquillo”, evidentemente qualche problema c’è. Perché non si spiega come mai proprio una parte importante della Margherita lucana (lui compreso) siano invischiati in questa vicenda e in altre simili. Certo, come giustamente fa notare il politico raggiunto “sembra strano che un’azienda come la Total, abituata a trattare con capi di governo e gente importante” cada proprio “sulla nostra misera Basilicata. Eppure il problema rimane, e gli atti dell’inchiesta parlano chiaro: in Lucaniauna grande occasione di sviluppo per tutta la Basilicata” è diventata “una occasione di arricchimento di una schiera di soggetti appartenenti al mondo politico e imprenditoriale, espressione di un “comitato d’affari” che, in ragione di interessi personali, ha praticamente “svenduto” la terra della Basilicata e le sue ricchezze, ovviamente a discapito del pubblico interesse”. 


PUBBLICO INTERESSE? - Val la pena andare a toccare un punto che, forse, chi fa politica di professione ha purtroppo dimenticato, ovvero:  chi pagherà questo inguacchio? Il politico da noi interpellato, mostrando quella che è davvero una visione politica in senso stretto - ovvero volta alla ricaduta sul cittadino e non sul proprio posto -  si domanda: “ma tutta la gente che lavorava in quei cantieri, che fine farà?”. Ed è questo il punto: spesso si parla di malaffare politico considerandolo un costume immorale, ma si dimentica la ricaduta che questo ha sui cittadini. Tutti gli assunti nei cantieri ora interessati all’inchiesta - e quindi, presumibilmente, presto sotto sequestro -  rimarranno a casa. Senza ricevere stipendio, senza poter lavorare. Centinaia di persone che perdono il proprio posto di lavoro a causa della scarsa altrui onestà. Persone di cui i quotidiani mainstream, troppo presi dal gongolare per questo o quello schieramento politico coinvolti nel malaffare, dimenticano totalmente.



(GIORNALETTISMO)






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